Misteriously Grown up

(paranormal-romance)

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  1. ~Paperwing's
     
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    Ok, be', il titolo fa pena. L'ho tirato fuori così su due piedi, essendo che negli ultimi mesi il file è rimasto salvato sul mio pc come _oOo_
    Bene detto ciò, non bastonatemi per la lunghezza. E, il racconto potrebbe contenere accenni d'erotismo (nulla di volgare, a meno che non siate sensibili quanto mia sorella di 6 anni o peggio; anche se, dopo i primi capitoli, potrebbero diventare meno lievi gli accenni, ecco), motivo per cui li metterò sotto spoiler (anche per via della lunghezza; il primo capitolo in realtà è decisamente più che tranquillo). Per la serie, aprite a vostro rischio e pericolo (scheerzo ;D).
    Bene, spero lo leggiate e che vi piaccia almeno un pochettino (a me piace sempre meno ogni volta che lo leggo... ma è sempre così, per quindi).

    01

    01



    Buio.
    Oscurità.
    Nero.
    Galleggiavo nel nero più totale, nel luogo che sta tra il sonno e la veglia.
    I miei stessi sensi erano intorpiditi, percepivano tutto e niente, abbracciavano il tutto oscuro che mi avvolgeva e non trasmettevano nulla alla mia mente annebbiata.
    Tutto era buio, e il buio era tutto.
    Non so per quanto rimasi lì, immobile, semplicemente essendo, ma il tempo non aveva importanza nel luogo in cui mi trovavo.
    Poi, una lama di luce filtrò tra le tenebre. Come una lama era sottile e affilata, e squarciò la massa di nulla che mi circondava, spaventandomi.
    Un vago e remoto ricordo, forse residuo di una qualche vita passata, mi diceva che non dovevo aver paura della luce.
    Ma io ne avevo.
    In quel luogo in cui tutto era oscurità, la luce era qualcosa di inconcepibile e sconosciuto, e come tale mi intimoriva.
    Ero sempre più inquieta, a mano a mano che il fascio di luce si allargava, fino ad inondare completamente la mia visuale di quel misterioso bagliore bluastro.
    Improvvisamente catapultata in quella realtà sconosciuta, rivolevo indietro la mia oscurità, il mio universo familiare e conosciuto. Sicuro.
    A un tratto fu come se un interruttore si fosse acceso: presi coscienza di me.
    Presi coscienza del mio corpo, del mio vivere, del mio essere.
    Percepii le mie membra ad una ad una, come unità distinte ma parte di un singolo essere fisicamente perfetto. Ed avvertii la loro angoscia, il loro dolore, il loro disperato desiderio di vita.
    Sentii contrarsi qualcosa nella parte alta del mio corpo, e, con uno spasmo, inalai la mia prima boccata d’aria.
    Fu come se i tasselli confusi di un puzzle fossero tornati finalmente tutti al loro posto, perfettamente incastrati in un mirabile gioco di maestria.
    Una cascata di emozioni e ricordi mi travolse, lasciandomi ad annaspare, sperduta.
    Sono una donna.
    Quel primo pensiero mi colpì.
    Cosa significava essere una donna?
    Come in risposta alla mia domanda, un secondo ricordo mi travolse.
    Ansimai, spiazzata dalle sensazioni improvvise che mi assalirono lo stomaco.
    Labbra morbide, tenere e sicure sulle mie. Un viso dolce e teso al tempo stesso, di una bellezza acerba e fanciullesca, troppo vicino per essere messo bene a fuoco.
    Un tiepido calore si diffuse sulle mie guance, insieme a una sensazione di disagio all’altezza dello sterno. Imbarazzo, forse? Non ero ancora molto abile nel dare un nome a quella vastità di sensazioni sconosciute che si accavallavano tra loro.
    Uno alla volta i ricordi tornarono al loro posto tra gli scaffali vuoti della mia memoria. I miei ricordi, registrai.
    Mi chiamo Ethel. Ho 14 anni, un fisico maturo e un’altezza ridotta. I miei capelli sono lunghi e di un profondo viola scuro, ma ormai da tempo immemore li tingo di un più comune color ebano. Sono lisci e setosi, leggermente arricciati verso le punte. Li ho sempre adorati sin da bambina. Il viso è tondo e dai lineamenti delicati, la pelle bianca perlacea. Gli occhi, grandi e ornati da lunghe ciglia nere, sono pozze liquide di miele dolcissimo, limitati da un cerchiolino più scuro. Sono appena spruzzati di pagliuzze bianche e dorate, che fanno sì che quando mi arrabbio non sembrino più fatti di miele, bensì di elettricità, energia pura.
    Sono sempre stata una persona forte e determinata (la prima parola che ho imparato da piccola è stata ‘no’), ma da quando mi sono spuntate le zanne, attorno agli undici anni, questa forza d’animo sembra sparita. O forse è solo sepolta sotto infiniti strati di insicurezza e autocommiserazione, chissà. La testardaggine e il bisogno di aver sempre ragione intanto ci sono ancora. Non per nulla il senso di frustrazione non mi abbandona mai, in una società come la nostra, dove le femmine vengono sempre dopo gli uomini. È una fonte continua di irritazione per me. Non mi dà da fare il pensiero di dover immolare la mia vita a compiacere un uomo, ovvero ciò per cui sono stata educata dalla nascita. No, nonostante quanto possa sembrare assurdo, mi sono sempre sentita impaziente di sposare il fatidico uomo a cui avrei dovuto dare tutto di me stessa in un atteggiamento di completa adorazione e sottomissione. Non mi dà fastidio una posizione d’inferiorità, soprattutto se questo mi assicura la possibilità di sentirmi desiderata, finalmente apprezzata per qualcosa. Ciò che mi dà fastidio è non essere considerata durante una conversazione. Il fatto che se io espongo una teoria, o propongo qualcosa, e un qualsiasi uomo la contesta, allora il caso è chiuso. Lui ha ragione, io sono una stupida. Punto.
    Non ho mai messo in dubbio la mia intelligenza, e non permetterò mai che qualcuno mi porti a farlo. E sono disposta sempre a tutto pur di dimostrare che la ragione è dalla mia parte. Sono una ragazza estremamente competitiva.
    Una ragazza forte e testarda che sarebbe disposta a prostituirsi pur di ottenere una qualche dimostrazione d’affetto.
    Buffo, no?
    È per compensare questa mancanza di sicurezza che all’inizio dell’adolescenza mi sono gettata sui libri. Leggere storie d’amore romantico e appassionato mi faceva immedesimare nella protagonista, facendomi sentire amata e desiderata, facendomi sentire che al mondo c’era qualcuno che mi voleva veramente, che non stava fingendo solo per non ferirmi. Quei libri di passione profonda e libidinosa però non mi aiutavano granché, nonostante le acrobazie fatte per procurarmeli in gran segreto; mi portavano a fantasticare su scene che sapevo mi sarei potuta scordare per ancora diversi anni, alimentando la mia frustrazione. Fino a quel bacio, col giovane Kith, di poco più grande di me. Mi ha portato più emozioni quel bacio innocente di un’intera notte di quel piacere surrogato dei miei libri. Ma prima ancora che potessi esplorare a fondo quel rapporto, è finito. In uno dei giorni d’uscita all’esterno mi sono allontanata dal gruppo delle mie compagne per entrare in un negozio di dischi, e lì…

    Lì finiva tutto ciò che ricordavo. Solo la sensazione improvvisa di una mano sulla bocca e di un braccio attorno alle costole che stringeva troppo forte mentre mi trascinava via. E poi più niente fino a poco fa.
    Sbuffai.
    Tutta colpa della società.
    Se non avessero tenuto le femmine così isolate dal resto della società avremmo imparato anche noi a difenderci, e probabilmente ora non mi sarei ritrovata lì.
    Maledetti demoni retrogradi.


    02

    02



    Tra l’euforia e la confusione del momento per la ritrovata memoria, un rumore sconosciuto fece breccia tra i miei pensieri.
    Un cigolìo leggero, seguito da un colpo attutito. E passi. Passi che si fermano, come in ascolto.
    Spaventata e in ansia per la nuova intrusione, cercai di sollevarmi dalla posizione supina in cui ero distesa, in un misero tentativo di fare qualcosa per proteggermi.
    Dopo pochi secondi, essendo ancora illesa, supposi che il nuovo arrivato non avesse realmente intenzione di farmi del male. Il massimo che riuscii a ottenere dai miei muscoli atrofizzati fu infatti una leggera contrazione delle dita. E il tutto con tempi di risposta non proprio immediati.
    Il gorgoglìo che ne seguì, però, mi lasciò un attimo interdetta, finché non realizzai: ero immersa nell’acqua!
    Spalancai gli occhi, e nello scoordinato contorcersi delle mie membra, notai un altro particolare che mi stupì: ero rimasta lì, immersa nell’acqua, e nuda, senza rendermene conto, per tutto quel tempo?!
    Senza contare poi il fatto che ancora non sapevo quanto fosse, “tutto quel tempo”. E nemmeno avevo un’idea di dove fosse questo “lì”.
    Ma in che situazione assurda ero finita? E soprattutto, come ci ero finita?
    «Ti sei svegliata finalmente.»
    Sobbalzai.
    Il mio primo istinto fu quello di coprire la mia nudità, finché non mi resi conto che, con un’acqua così torbida e opaca, sarebbe stato difficile per chiunque vedermi, figuriamoci per quello che sembrava, almeno a prima vista, in tutto e per tutto umano.
    Lo osservai con più attenzione, in cerca di un qualche segno di appartenenza al sovrannaturale. Il mio sguardo fu però catturato, com’era prevedibile, dalla perfezione di quell’esemplare di razza maschile.
    A occhio e croce sarà stato sulla trentina, forse un po’ meno, ma, in ogni caso, un po’ troppo vecchiotto per me (come, del resto, ogni uomo degno di tale nome, purtroppo).
    Be’, mi sarei accontentata di guardare. In fondo, non era per niente un brutto spettacolo.
    Aveva magnifici capelli scuri, anche se definirli tali era riduttivo: erano incredibili, un miscuglio di sfumature che andavano dal castano ramato al color liquirizia. I riccioli leggeri si avvolgevano in morbide onde attorno al viso abbronzato e sugli occhi, chiarissimi.
    La bellezza suggestiva di quegli occhi, di un colore perso tra il verde e l’argento, mi ammaliava, mentre al tempo stesso lo sguardo sorpreso e vagamente divertito che vi scorgevo mi imbarazzava, portandomi a distogliere veloce lo sguardo.
    Lo fissai invece sul resto del viso, sugli zigomi alti e un po’ pieni, che mi era fin troppo facile immaginare sfiorati dalle lunghe ciglia scure durante il sonno. Chissà che forma avrebbe assunto, nel sonno, la sua bocca, all’apparenza così morbida e ben disegnata. Mi chiesi se avrebbe dischiuso le labbra, come avevo visto più volte fare a mio fratello, o se le avrebbe arricciate in un broncio leggero, come i bimbi piccoli. Come me.
    Trattenni una risata: magari invece russava come papà.
    Osservai il sorriso divertito, e al tempo stesso un po’ imbarazzato (o era solo una mia impressione?), che andava formandosi sotto il mio sguardo fisso, e arrossii.
    Con ogni probabilità era dovuto alla mia reazione un po’ sfacciata, forse, ma al momento decisi di non curarmene. Quell’uomo era un vero schianto, e non so quando mi sarebbe ricapitata un’occasione così ghiotta.
    Eh sì, avevo sempre avuto un discreto… appetito, sotto questo punto di vista, pur essendo così giovane. E questo appetito sembrava essere ulteriormente aumentato da che mi ero svegliata.
    Spostai gli occhi più in basso, ansiosa di gustare di più.
    Feci scorrere lo sguardo sul torso meravigliosamente nudo, sui muscoli lisci e non troppo scolpiti.
    Non riuscii a trattenermi dal passarmi la punta della lingua sulle labbra, quando gli occhi si soffermarono sui capezzoli scuri e sugli sporadici riccioli sul petto.
    Purtroppo il bordo della vasca interruppe quella magnifica visione, impedendomi di vedere oltre l’ombelico e la leggera peluria che lì aveva origine.
    Tornai a guardare l’acqua, rizzandomi a sedere con un sospiro e una smorfia di delusione.
    Udii una risatina sommessa.
    Improvvisamente mi resi conto che essendomi alzata il bordo della vasca non mi ostruiva più alcuna visuale.
    Arrossii, non sapendo se indossasse i pantaloni, ma d’improvviso troppo timida per proseguire oltre nel mio esame.
    In ogni caso, non dubitavo che il resto fosse all’altezza di quanto avevo già visto.
    Quel tipo era… be’, decisamente wow.
    La sua presunta nudità mi creava però ancora qualche problema, così tenni lo sguardo ostinatamente fisso sulle mie ginocchia emerse.
    E fu allora che mi resi conto della mia, di nudità.
    Mi coprii il viso con le mani, avvertendo una quantità immensa di sangue salire a imporporarmi le guance.
    Mossa stupida.
    Spostai in fretta le mani verso il basso, allacciandomele attorno alle ginocchia e raggomitolandomi su me stessa, nel tentativo di nascondermi il più possibile.
    Sollevandomi a sedere avevo fatto sì che tutta la parte superiore del mio corpo uscisse dall’acqua, e così dalla protezione che essa donava. Ero stata così stupida, troppo presa dai miei pensieri così fuori luogo, da non rendermene nemmeno conto. E probabilmente era inutile coprirmi ora. Se avesse voluto vedere qualcosa avrebbe già avuto tutto il tempo per farlo, mentre io ero lì imbambolata a fissarlo.
    Stupida, mi ripetei.
    L’imbarazzo per la situazione era troppo, e i miei nervi già provati cedettero. Avvertii le lacrime farsi strada tra le palpebre serrate e scorrere copiose sul mio viso, calde e imbarazzanti.
    «Ehi, ehi. Ehm… Cosa c’è che non va?» mi chiese con voce incerta.
    Accidenti, avevo sperato che i capelli mi nascondessero il viso a sufficienza, ma evidentemente il tizio aveva una vista migliore di quanto mi aspettassi.
    Mi accorsi che stava ancora aspettando una risposta. Mi asciugai con decisione il viso, continuando a tenere premute le ginocchia al petto per nascondermi.
    «Chi sei?» chiesi, decisa ad ignorare la sua domanda.
    «Nathan» rispose semplicemente. Alzai gli occhi gonfi al cielo.
    «Molto illuminante, davvero.»
    Sorrise, inarcando un sopracciglio. «Be’, è già più di quanto non sappia io di te, piccola demone.»
    «Mi chiamo Ethel, piacere di conoscerti, Nate.» risposi ironica.
    Ci misi qualche secondo prima di rendermene conto: «Aspetta aspetta» lo bloccai. «Come… come mi hai chiamata?»
    «Io? Sei tu che mi hai chiamato» fece una smorfia «Nate
    «Non intendevo quello. Tu… mi hai detto piccola demone. Come…?»
    «Come ho fatto a capire che sei un demone? Ma per chi mi hai preso scusa? Nel caso capelli viola e occhi gialli non fossero sufficienti, direi che zanne, corna e orecchie a punta parlino da sole.»
    Ok, forse non aveva tutti i torti. Ma, ehi «Io non ho ancora le corna» dissi.
    Si strinse nelle spalle. «In effetti non le avevi quando ti ho presa. Ti sono spuntate mentre eri in ibernazione, non mi sorprende che non te ne ricordi.»
    «I… bernazione?»
    «Sì, è quello che ho detto no?»
    Lo guardai spaesata.
    «Ma sì, dai! Si può… Oh Cristo Santo, no! Non dirmi che dovrò raccontarti tutto da capo» gemette.
    Non ne sembrava particolarmente entusiasta.
    Io, invece, non aspettavo altro.


    Edited by ~Paperwing's - 27/8/2012, 12:07
     
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